I rossi di Isotta

elementi in ceramica per orecchini bottone
elementi in ceramica per orecchini bottone

Le ceramiche di Isotta non sono spesso colorate di rosso semplicemente perché si ispira alla produzione tradizionale italiana, che predilige, per motivi tecnici, i blu, i verdi e i gialli ai rossi.

Il rosso, infatti, era un colore difficile da realizzare; nelle pitture murarie e in ceramica si utilizzò a lungo l’ocra rossa: l’esempio più famoso è il “Rosso Pompeiano”. Un altro rosso mutuato dalla tradizione pompeiana si ottiene arrostendo ocra gialla, in modo da renderla più scura.

Per tutto il medioevo proseguì la ricerca di un rosso più stabile e brillante; nell’area mediterranea era molto usata la Lacca di Garanza, ottenuta dalla robbia, che è stata molto diffusa anche nel nord Europa e nelle fiandre o il vermiglione (il kermes), estratto da un insetto, parassita delle querce, sebbene poco intenso e piuttosto instabile e il vermiglione minerale (solfuro di mercurio, ovvero il cinabro), proveniente dalle miniere in Turchia, che con il tempo, però, vira su tonalità più scure.

Plinio il Vecchio, distingue i rossi ottenuti dalle terre dai colori come il cinabro, da colori più pregiati come il sangue di drago (una resina poco stabile e perciò mai molto usata in pittura, ottenuta da varie specie di piante, tra cui le dracene) e soprattutto il purpurissum, la preziosissima porpora, ereditata dai Fenici e ricavata fissando su creta il pigmento estratto da molluschi marini della famiglia dei Muricidi.

La porpora era talmente costosa che veniva prodotta associandola con rossi di origine vegetale, come il rosso di robbia o di garanza. Un processo molto più semplice ed economico il cui risultato, peraltro, era particolarmente stabile, e che vedeva coinvolte le radici della robbia, già ai tempi delle grandi civiltà mediorientali e mediterranee.

Le tradizioni ci sono state tramandate anche dal primo trattato di pittura in lingua volgare scritto, a cavallo tra il XIV e il XV secolo, da Cennino Cennini: il trattato sulla pittura. Lo stesso contiene, tra le altre cose, un “ricettario pratico” dei colori usati nella pittura medievale e rinascimentale. Cennino Cennini, al capitolo XXXIX, illustra la preparazione del rosso cinabro, più chiaro della sinopia, e spiegherà, al successivo capitolo XLI, di evitare il minio perché “…se l’adoperi in muro, come vede l’aria subito diventa nero, e perde suo colore” e sconsiglia il sangue di drago, al capitolo XLIII, “che non è di condizione da farti molto onore” e la lacca “che si annerisce all’aria”.

Studiando i maestri del Cinquecento e del Seicento, noteremo una evoluzione determinata dall’introduzione del carminio, introdotto a fine ’500, al tempo della colonizzazione del Nuovo Mondo, quando in Europa arriva la cocciniglia, che gli Aztechi usavano da secoli per estrarre il rosso.

Caldo e scuro, il carminio era un colore d’avanguardia a fine ’500, alla moda e molto costoso. Tuttavia, come il suo “fratello minore”, risultava poco stabile. Come veri alchimisti, maestri quali Tiziano e Vermeer, Van Dyck e Rembrandt offriranno all’umanità i loro rossi straordinari, combinando rossi provenienti da tre regni naturali diversi (minerale per il cinabro e l’ocra, vegetale per la robbia, animale per il vermiglione e per il carminio).

La pittura offrirà maggiori possibilità espressive, rispetto alla ceramica, consentendo la sovrapposizione di più strati, soprattutto a Venezia, dove i ricchi mercanti offriranno ai pittori una vastissima scelta di pigmenti provenienti da tutto il mondo.

Tiziano, ad esempio, realizzava i rossi intensi stendendo campiture di kermes che poi velava con il rosso di robbia, utile per rendere più stabile il colore: come nel “Noli me tangere”; negli anni, il Maestro, come anche Giorgione, useranno anche il carminio di cocciniglia, come Paolo Veronese, che si rivelerà un grande interprete del rosso più alla moda, quello di cocciniglia, ad esempio, nella sua “Allegoria dell’Amore I: infedeltà” del 1570.

Nel Seicento la tradizione sarà ripresa dagli artisti olandesi. Vermeer, ad esempio, stendeva prima una campitura di cinabro e poi sovrapponeva un velo di lacca di rosso di robbia, come si vede nei “Due gentiluomini e una fanciulla con bicchiere di vino”. La tecnica consentiva di proteggere il pigmento più delicato dal contatto con l’atmosfera, mantenendolo stabile, e di rendere il colore più “profondo” e vario.

Antoon Van Dyck e Rembrandt creeranno, così, sinfonie rosse, sovrapponendo il carminio di cocciniglia a campiture di cinabro.

Non avendo nella tecnica ceramica le stesse opportunità cromatiche offerte in pittura, aggiungo una nota di luce, ispirandomi alla tradizione umbro marchigiana, da cui ho recepito l’uso dei colori metallici applicati a terzo fuoco, segnatamente l’oro. Nel merito, le bellissime produzioni dei centri di Deruta e del ducato di Urbino (Gubbio, Urbino e Pesaro) hanno offerto nella storia dell’arte della ceramica Italiana dei capolavori che il mondo ci invidia; fra questi ricordo con piacere Mastro Giorgio da Gubbio.

Quando realizzo i miei prodotti ceramici applico sul biscotto gli engobbi, a base argillosa che hanno una buona copertura sulle ampie superfici e sono certificati atossici (certificati non tossici in conformità agli standard ASTM D-4236) e, per la finitura lucida, matt o craquelè, applico, sul biscotto engobbiato, una cristallina trasparente apiombica, a pennello o per immersione.